lunedì 29 marzo 2010

Amori e dolori

La mia analista la scorsa settimana mi ha detto che ho un serio problema con l'abbandono.
Non che non lo sapessi da sola.
Ma vedere che la cosa è così evidente anche per chi ti conosce da 6 settimane (e ti vede solo per 50 minuti ogni sette giorni) mi ha fatta sprofondare in un vortice Pirandelliano alla "Uno, nessuno, centomila", dove tu non sai più veramente chi sei, perchè ognuno ha un'idea di te che non sapevi, e diventi uno, multiplo, ti annulli, a seconda della persona che ti vedi di fronte, anche quando la stessa sei tu che ti guardi allo specchio.
E quindi. E quindi devi seriamente sederti ad un tavolo con te stessa, un the caldo e una sigaretta, a chiederti cosa hai intenzione di diventare emotivamente parlando.
Perchè una di quelle mezze pazze con crisi persecutorie no.
Una di quelle che scivola da un letto all'altro perchè da bambina ha subito un trauma emotivo no.
Peggio ancora una zitella che il sesso non se lo ricorda più. Assolutamente no.
La mia analista avrà pensato che sono fuori di testa. Prendo a calci in culo ogni uomo che prova a passare dalla mia vita, e quando e se ne faccio entrare uno per davvero (così raramente), se lo faccio entrare in quel piccolo posto che si chiama cuore, molto più grande dello spazio fisico di cui è composto, lo rincorro se sento di essere sul punto di mandare tutto a puttane veramente. O anche se percepisco un piccolo distacco, un piccolo cedimento strutturale, che potrebbe essere anche normalissimo, tanto per intenderci.
"Lei ha questa dinamica: per lei amare significa perdere. Così tiene gli uomini a distanza. Finchè rimangono entro il limite stabilito lei sguazza in queste situazioni come un pesce pagliaccio in un acquario enorme solo per lui. Quando però entrano in gioco i sentimenti, allora succede il patatrack. L'ansia della perdita".

Così fottutamente vero. Come se solo nel momento in cui "ho" qualcosa, ebbene è solo da quel momento quella cosa sia anche possibile (probabile) perderla, e la mia testa vada in tilt. Pare anche (ma ancora non ne sono convinta) che io nutra una sorta di masochismo, cercandomi uomini che non possono assolutamente corrispondere al mio desiderio di amore. E questo perchè, nel momento in cui poi la perdita avviene (da parte mia, da parte sua, da parte della vita) io possa darmi ragione, possa dirmi "vedi, amare significa perdere. Lo sai, l'hai sempre saputo, ecco un'altra prova". Il che significherebbe, oltre che essere masochista, anche che mi sto così tanto sulle palle da sola, che se non dovessi condividere con me stessa ogni momento della mia vita, mi chiederei di starmi alla larga almeno fino all'elezione di un presidente del consiglio omosessuale. Ovvero molto tempo. E quindi ecco l'uomo fidanzato da anni con consorte immollabile, l'uomo in carriera che gira per il mondo, il ventenne che ancora non ha un equilibrio di vita suo, e figuriamoci se può darlo a me, che lo cerco da 27 anni, l'equilibrio.
E allora. E allora Amore non fa più rima con cuore, ma con Malore, scatenando in me vortici di riflessioni e pippe mentali alla sex and the city ma meno sex e anche meno city.
Solo pippe.

Sono una carta moschicida di amori sbagliati. Sembra che me li scelga con il lanternino, a volte. Altre, solo che la mia dose di sfiga si sia concentrata tutta lì, nella zona emotiva e sentimentale.
E finisce che ti chiedi se in una vita passata hai fatto qualcosa di male, o solo se ti aspetta una bella ricompensa.

L'ansia della perdita.
Non conosco nessuno che l'abbia come me.
Leggevo oggi un bellissimo articolo di Chiara Gamberale sul Riformista, dal titolo "Ti prego, dimmi che non è successo niente", che rispecchia esattamente il mio stato. Ho riso anche come una pazza leggendolo, perchè notare queste cose da fuori, e sentirle raccontate da penne e menti che sanno veramente scrivere e pensare, mica come me, te le fa vedere davvero, e sotto un altro aspetto.

"Dimmi che non è successo niente a mamma". Imploro a mio padre, ogni volta che vedo il suo nome sul display dopo le otto di sera (orario limite dopo il quale il sospetto di un avvenuto disastro in me rasenta la certezza). "Dimmi che non è successo niente a papà". Aggredisco mia madre quando va di fretta.
"Sei evasiva: che c'è?. Dimmelo". Insisto. Poi: mio marito, il mio cane, mio fratello, Giorgia del bar, tutte le persone che semplicemente rimanendo al loro posto, garantiscono alle mie abitudini di rimanere ancorate a loro stesse e a me di di rimanere ancorata a loro"


Amen.
Insomma probabilmente ognuno di noi ha le proprie fissazioni, se no non mi spiego perchè la salumiera dell'esselunga dove faccio la spesa ogni lunedì, nella tasca del grembiule tenga il telefono con la vibrazione, e nel tempo di darmi un etto e mezzo di bresaola e dell'asiago guardi il suddetto telefono almeno tre o quattro volte. Come se stesse per arrivare la notizia dell'anno. Mi sono immaginata gli scenari più assurdi: dalla gelosia più spietata, all'ossessivo compulsività, alla noia, all'innamoramento appena nato. Poi semplicemente mi sono convinta che quella sia il corrispettivo della mia ansia da perdita. Bisogno di essere convinta di essere raggiungibile al mondo. E io, che darei qualsiasi cosa per una casa in campagna senza il telefono.

Probabile che ognuno abbia le proprie di fissazioni, e che veda quelle altrui come terribilmente prive di senso e significato, e invidi quelle persone con quel peso così poco grave. Eppure il peso è grave secondo la soggettività, almeno quando si parla di amore, o di sentimenti, o di piccoli drammi personali. Perchè uno lo sa, della fame del mondo, dell'effetto serra che scioglie i ghiacciai, dello sfruttamente minorile nel Sud Est asiatico, degli orfanotrofi che sembrano così lontani, e invece sono nella tua stessa città. Lo sa eccome. Ma poi ti mangi una pellicina mentre aspetti che il micro-onde scaldi le verdure lessate la sera prima (e chissà perchè guardiamo sempre, come se si scaldassero più velocemente, così come aspettiamo, guardandola, l'acqua che bolle, come se bollisse prima) e tutto scompare, La fame nel mondo, l'effetto serra, lo sfruttamento minorile, gli orfanotrofi. E ci siamo solo noi con la nostra piccola pellicina dolorante, la piccola striscia di sangue che sembra non smettere di diventare sempre più rossa.
E allora il mio terrore di rimanere da sola nella vita, che fa sì che mi attacchi come una cozza alle persone che riescono a farmi aprire veramente (e parlo di attaccarsi emotivamente, non fisicamente), è assolutamente più doloroso della gelosia assurda della mia amica Valeria che non fa uscire a prendere l'aperitivo il suo fidanzato dell'università. E lei a sua volta sente sicuramente più dolore della sua vicina di scrivania, che soffre di Asma e ha la fobia di rimanere senza inalatore.
E via all'infinito. Perchè in fondo, generosi quanto vuoi e presenti quanto vuoi, siamo tutti dei "ciao come sto" (tanto per ricitare la Gamberale), presissimi dalle nostre turbe e dai nostri piccoli drammi.
E non è un caso che abbia deciso di aprire un blog su quel che succede nella mia vita. E in quelle di chi mi sta vicino.

Si sa mai che guardando loro, gli altri, la vita, io non ci capisca qualcosa in più della mia.

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