venerdì 23 aprile 2010

L'uomo che ama

Questo film mica l'ho visto, ve lo devo confessare.

Ma c'è un pezzo di pellicola, in cui il protagonista scrive una lettera a se stesso. E quello l'ho sentito.

"Direi a mio fratello che non deve avere paura. Si smette di amare, e poi si ricomincia"

Ed è così? E' davvero così?
Qualsiasi persona risponderebbe di sì. Io non lo so.
Perchè improvvisamente l'amore mi sembra così difficile da toccare veramente, da essere inaccessibile ai più.
E l'essere anche solo toccata mi lascia un senso di sporco addosso che nessuno potrebbe togliere.

La botta di questo ventenne è stata dura. Ma non lui, solo la botta.
Il nero del livido, che piano piano ingiallisce, proprio come dice Samuele.

E io vorrei solo cancellare. Io, che non cancellerei nulla mai, vorrei solo cancellare.
Tanto forte è dolore.

"eternal sunshine of the spotless mind"


E allora rileggo una mail, di quell'amica lontana, conosciuta alla stazione termini di Roma.
E allora per un attimo il dolore si fa più lieve.


"che eri la più bella e rara della serata l'ha detto il mio amico michele. ma lo penso anch'io.
e più sei rara e bella più è difficile trovare qualcosa che ti somigli, figuriamoci qualcuno.
tua, sempre e sempre di più,
c."

venerdì 9 aprile 2010

necessità e virtù

L'unica cosa di cui avrei bisogno ora è che qualcuno mi mandasse un sms con scritto

"Soffre ciò che cambia, anche per farsi migliore" (Pasolini)

come accadde alla piccola Saigon, diventata grande.

Terrei quell'sms ben in vista, a ricordarmi che tutto passa, e che ci vogliono le rincorse.

Anche in questo buio fuori e dentro,
anche in questa bassa marea, che lascia scoperte le cose che non volevi,
anche in questo alone di speranza che si fa.

mercoledì 31 marzo 2010

"E' stato solo un bacio"

La mia amica Hermione è la portatrice e custode di una storia che mi dà (ci dà) speranza.
Ha bei capelli, Hermione, di quelli lisci e sempre in ordine, di quelli che se la incontri in giro ti chiedi se si alza la mattina già con la pettinatura perfetta, tanto per intenderci. Mani esili, unghie corte, curate.
L’ho conosciuta un pomeriggio di fine marzo di circa 7 anni fa, innamorandomi immediatamente di lei come ci si può innamorare di una confidente così sincera da fare male, così razionale, ma sentimentale, che sai avrà una risposta, sì, ce l’avrà, ogni volta che ne avrai bisogno.
I bagni di razionalità, li chiamo, quelli che le chiedo quando ho un assillante psicodramma. I bagni di razionalità, li chiamo, i suoi consigli duri e tangibili ed espliciti che lei mi dà senza troppo pensare alla forma o al peso delle parole.
Metti una sera d’estate. Di quelle calde e afose, in cui preghi, speri, anche il Dio in cui non credi, che arrivi un filo di vento, una brezza dentro e fuori di te che cambi qualcosa. Il tuo sudore e la tua vita.
Metti una sera d’estate e una ragazza che lavora in una nota città, in un noto luogo d’arte e in una nota manifestazione estiva.
Ha finito il primo anno di università, Hermione, ed è una che ha la stoffa. Scrive quaderni ordinati e precisi, fa righe dritte anche senza righello sui libri fotocopiati. Si vede che è una che ne sa, perché mastica di politica e di musica giusta, di arte e letteratura e la prima volta che vado a casa sua rimango incantata dalla gigantesca libreria che ha in salotto, divisa per autore. E io che li ho in pila accanto al letto, uno sopra l’altro, tutti con le orecchie, e pieni di righe di sottolineatura. Ma non è questo il punto.
Quella sera d’estate Hermione si innamora. O mette un mattoncino per terra per quella casetta che si chiama Amore che che uno costruisce (a meno che non siate me) piano piano dal principio. Lui si chiama F. Ed è fidanzato. “La stronza” direte voi. No, lo stronzo è lui fidanzato, dico io. Che poi scusate, io per un attimo metto via il cinismo e faccio la sentimentale: se è per l’amore vero ci può anche stare. E il loro è amore vero, non ce ne sono di palle. Immagino la scena anche se lei non me l’ha mai raccontata. “La lascio” le dice lui, una sera dopo aver fatto l’amore nella casa in montagna di lei dove in teoria lei era con le amiche, per i suoi genitori. E lei pensa “Dio Grazie, questo incubo finisce” e invece dalla bocca le esce “non ti voglio forzare, prendi il tempo che ti serve. Se ti serve tempo”. F. la lascia, la fidanzata, che diventa L’altra da un secondo all’altro. E Hermione, da Altra, diventa la fidanzata.
Inutile dirvi che l’ansia da perdita della sottoscritta, patologia ampiamente trattata nel post precedente, si trasforma in una sfiducia generale nel prossimo, ché, se ti fidi, mica hai l’ansia di essere abbandonata in autostrada per la cassiera dell’autogrill, o perché lui nel parcheggio incontra un furgoncino Wolksvagen pieno di hippy strafatti e capisce che non ha vissuto l’adolescenza e quel senso di libertà deve assolutamente viverlo adesso. Deve, deve.
Insomma se per lei da quel momento inizia il sogno, per me sarebbe iniziato l’incubo. Perché ovvio che quando hai qualcuno lo puoi perdere, mentre se tu sei l’altra, lui non tradisce mica te. Eccheccazzo.
E poi metti che passano gli anni, e l’amore cresce, come solo può crescere un amore vero. E tuoi spigoli si incastrano con i suoi, i suoi silenzi non sono preoccupanti perché li conosci così bene da sentirne la voce. Prendono le misure uno sull’altro.
Ma poi una sera. Una sera Hermione lo chiama e lui non risponde. È in ritardo nell’andare a prenderla. Chiama ancora. Niente. Ci riprova e lui mette giù, e quando ci riprova di nuovo lui risponde e invece della sua voce ci sono delle grida, e le grida sono ingiustificate e urlano qualcosa come “STO ARRIVANDO! E CHE CAZZO, ARRIVO!”.
E lei sta in silenzio.
E pensa: No, non è vero. No, non è vero. Non sta succedendo a noi.
Quando lui arriva sotto casa di lei, un condominio di periferia con una grande parcheggio davanti, anziché suonare il campanello come fa sempre, la chiama e le dice Scendiunattimoperfavore.
E lei prende un pacchetto di fazzoletti di carta e le chiavi di casa, nient’altro.
Mentre scende le scale si dice No, non è vero. No, non è vero. Non sta succedendo a noi.
Prende un pacchetto di fazzoletti di carta perché sa ci sarà da piangere. Lo sa e basta.
Lui vomita tutto, come se fosse saturo delle bugie.
“È stato solo un bacio”, le dice. Ma lei piange. Lo riempie di parolacce. Lo riempie di parolacce mentre piange.
“È tutto sporco, lo capisci?”, gli fa eco lei, che magari pensa anche “non cambierà mai, non cambierà mai”.
E invece. E invece la tempesta precede la calma. Perché il loro amore è forte, perché essere umani significa anche sbagliare e tradire, perché essere innamorati significa anche comprendere la debolezza di un momento, ma non dimenticare quel mattoncino che avevi messo una sera d’estate, oramai sommerso da altri mille mattoncini che sono stati posati da quattro mani anziché da due.
Si riprendono per mano e ricominciano piano.
Da passeggiate con un gelato.
Da un concerto insieme.
Dal chiedersi cosa abbiamo in mano, cosa abbiamo perso, cosa abbiamo ancora da afferrare.
Hermione e F. quest’anno a dicembre hanno fatto il loro primo albero di Natale insieme. La casa è di lui, convivono 3 giorni a settimana. Lei al telefono, tempo fa, mi ha detto che ancora di trasferirsi definitivamente non se ne parla, perché ancora sente il bisogno di spazi suoi, lei, e convivere non è mica facile come nei film.
Io li guardo, o li immagino, e capisco che probabilmente loro sono quelli più felici. O quantomeno forti, o forse consapevoli. Perché hanno passato sulla loro pelle la crisi, il dubbio, la paura; perché sono stati a un passo dal perdersi ma si sono afferrati e non perché dovevano ma perché hanno scelto così.
E allora cosa è l’amore se non questo? Scegliersi.
E ognuno ha la propria definizione.
Per me l’amore è scavalcare un muretto, uno di quelli un po’ vecchi, con le pietre a vista, e poi girarsi indietro, tendere una mano a chi è lì che ti guarda, e guardarlo a tua volta, fisso da vederci dentro fino alla fine se una fine c’è, e con quello sguardo dire “vieni con me a vedere cosa c’è la fuori”.

E io? Io con chi vedrò cosa c’è là fuori?

lunedì 29 marzo 2010

Amori e dolori

La mia analista la scorsa settimana mi ha detto che ho un serio problema con l'abbandono.
Non che non lo sapessi da sola.
Ma vedere che la cosa è così evidente anche per chi ti conosce da 6 settimane (e ti vede solo per 50 minuti ogni sette giorni) mi ha fatta sprofondare in un vortice Pirandelliano alla "Uno, nessuno, centomila", dove tu non sai più veramente chi sei, perchè ognuno ha un'idea di te che non sapevi, e diventi uno, multiplo, ti annulli, a seconda della persona che ti vedi di fronte, anche quando la stessa sei tu che ti guardi allo specchio.
E quindi. E quindi devi seriamente sederti ad un tavolo con te stessa, un the caldo e una sigaretta, a chiederti cosa hai intenzione di diventare emotivamente parlando.
Perchè una di quelle mezze pazze con crisi persecutorie no.
Una di quelle che scivola da un letto all'altro perchè da bambina ha subito un trauma emotivo no.
Peggio ancora una zitella che il sesso non se lo ricorda più. Assolutamente no.
La mia analista avrà pensato che sono fuori di testa. Prendo a calci in culo ogni uomo che prova a passare dalla mia vita, e quando e se ne faccio entrare uno per davvero (così raramente), se lo faccio entrare in quel piccolo posto che si chiama cuore, molto più grande dello spazio fisico di cui è composto, lo rincorro se sento di essere sul punto di mandare tutto a puttane veramente. O anche se percepisco un piccolo distacco, un piccolo cedimento strutturale, che potrebbe essere anche normalissimo, tanto per intenderci.
"Lei ha questa dinamica: per lei amare significa perdere. Così tiene gli uomini a distanza. Finchè rimangono entro il limite stabilito lei sguazza in queste situazioni come un pesce pagliaccio in un acquario enorme solo per lui. Quando però entrano in gioco i sentimenti, allora succede il patatrack. L'ansia della perdita".

Così fottutamente vero. Come se solo nel momento in cui "ho" qualcosa, ebbene è solo da quel momento quella cosa sia anche possibile (probabile) perderla, e la mia testa vada in tilt. Pare anche (ma ancora non ne sono convinta) che io nutra una sorta di masochismo, cercandomi uomini che non possono assolutamente corrispondere al mio desiderio di amore. E questo perchè, nel momento in cui poi la perdita avviene (da parte mia, da parte sua, da parte della vita) io possa darmi ragione, possa dirmi "vedi, amare significa perdere. Lo sai, l'hai sempre saputo, ecco un'altra prova". Il che significherebbe, oltre che essere masochista, anche che mi sto così tanto sulle palle da sola, che se non dovessi condividere con me stessa ogni momento della mia vita, mi chiederei di starmi alla larga almeno fino all'elezione di un presidente del consiglio omosessuale. Ovvero molto tempo. E quindi ecco l'uomo fidanzato da anni con consorte immollabile, l'uomo in carriera che gira per il mondo, il ventenne che ancora non ha un equilibrio di vita suo, e figuriamoci se può darlo a me, che lo cerco da 27 anni, l'equilibrio.
E allora. E allora Amore non fa più rima con cuore, ma con Malore, scatenando in me vortici di riflessioni e pippe mentali alla sex and the city ma meno sex e anche meno city.
Solo pippe.

Sono una carta moschicida di amori sbagliati. Sembra che me li scelga con il lanternino, a volte. Altre, solo che la mia dose di sfiga si sia concentrata tutta lì, nella zona emotiva e sentimentale.
E finisce che ti chiedi se in una vita passata hai fatto qualcosa di male, o solo se ti aspetta una bella ricompensa.

L'ansia della perdita.
Non conosco nessuno che l'abbia come me.
Leggevo oggi un bellissimo articolo di Chiara Gamberale sul Riformista, dal titolo "Ti prego, dimmi che non è successo niente", che rispecchia esattamente il mio stato. Ho riso anche come una pazza leggendolo, perchè notare queste cose da fuori, e sentirle raccontate da penne e menti che sanno veramente scrivere e pensare, mica come me, te le fa vedere davvero, e sotto un altro aspetto.

"Dimmi che non è successo niente a mamma". Imploro a mio padre, ogni volta che vedo il suo nome sul display dopo le otto di sera (orario limite dopo il quale il sospetto di un avvenuto disastro in me rasenta la certezza). "Dimmi che non è successo niente a papà". Aggredisco mia madre quando va di fretta.
"Sei evasiva: che c'è?. Dimmelo". Insisto. Poi: mio marito, il mio cane, mio fratello, Giorgia del bar, tutte le persone che semplicemente rimanendo al loro posto, garantiscono alle mie abitudini di rimanere ancorate a loro stesse e a me di di rimanere ancorata a loro"


Amen.
Insomma probabilmente ognuno di noi ha le proprie fissazioni, se no non mi spiego perchè la salumiera dell'esselunga dove faccio la spesa ogni lunedì, nella tasca del grembiule tenga il telefono con la vibrazione, e nel tempo di darmi un etto e mezzo di bresaola e dell'asiago guardi il suddetto telefono almeno tre o quattro volte. Come se stesse per arrivare la notizia dell'anno. Mi sono immaginata gli scenari più assurdi: dalla gelosia più spietata, all'ossessivo compulsività, alla noia, all'innamoramento appena nato. Poi semplicemente mi sono convinta che quella sia il corrispettivo della mia ansia da perdita. Bisogno di essere convinta di essere raggiungibile al mondo. E io, che darei qualsiasi cosa per una casa in campagna senza il telefono.

Probabile che ognuno abbia le proprie di fissazioni, e che veda quelle altrui come terribilmente prive di senso e significato, e invidi quelle persone con quel peso così poco grave. Eppure il peso è grave secondo la soggettività, almeno quando si parla di amore, o di sentimenti, o di piccoli drammi personali. Perchè uno lo sa, della fame del mondo, dell'effetto serra che scioglie i ghiacciai, dello sfruttamente minorile nel Sud Est asiatico, degli orfanotrofi che sembrano così lontani, e invece sono nella tua stessa città. Lo sa eccome. Ma poi ti mangi una pellicina mentre aspetti che il micro-onde scaldi le verdure lessate la sera prima (e chissà perchè guardiamo sempre, come se si scaldassero più velocemente, così come aspettiamo, guardandola, l'acqua che bolle, come se bollisse prima) e tutto scompare, La fame nel mondo, l'effetto serra, lo sfruttamento minorile, gli orfanotrofi. E ci siamo solo noi con la nostra piccola pellicina dolorante, la piccola striscia di sangue che sembra non smettere di diventare sempre più rossa.
E allora il mio terrore di rimanere da sola nella vita, che fa sì che mi attacchi come una cozza alle persone che riescono a farmi aprire veramente (e parlo di attaccarsi emotivamente, non fisicamente), è assolutamente più doloroso della gelosia assurda della mia amica Valeria che non fa uscire a prendere l'aperitivo il suo fidanzato dell'università. E lei a sua volta sente sicuramente più dolore della sua vicina di scrivania, che soffre di Asma e ha la fobia di rimanere senza inalatore.
E via all'infinito. Perchè in fondo, generosi quanto vuoi e presenti quanto vuoi, siamo tutti dei "ciao come sto" (tanto per ricitare la Gamberale), presissimi dalle nostre turbe e dai nostri piccoli drammi.
E non è un caso che abbia deciso di aprire un blog su quel che succede nella mia vita. E in quelle di chi mi sta vicino.

Si sa mai che guardando loro, gli altri, la vita, io non ci capisca qualcosa in più della mia.